Le elezioni parlamentari in Libano consacrano l’ascesa politica delle Forze Libanesi. Hezbollah a un bivio: o partito o milizia armata.

Bernard Selwan El-Khoury 10/05/2018
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Domenica 6 maggio, dopo un’attesa durata nove anni, i cittadini libanesi si sono recati alle urne per eleggere i nuovi deputati del Parlamento. La settimana precedente, i libanesi residenti all’estero avevano esercitato il loro diritto di voto presso le ambasciate in tutto il mondo.

Il Ministro dell’Interno libanese, Nohad Machnouk, ha annunciato in una conferenza stampa presso la sede del suo Ministero, a Beirut, che “l’affluenza alle urne ha raggiunto il 49,20%”, cui si aggiungono 100 mila votanti circa all’estero. Un risultato che, seppur più basso rispetto alle ultime elezioni parlamentari del 2009, quando si registrò un’affluenza del 54%, conferma la solidità dello spirito democratico che muove il Paese dei Cedri, assediato dai regimi totalitari negli altri Stati della regione”.

Machnouk, membro del “Movimento Futuro”, partito dell’attuale Premier sunnita libanese, Saad Hariri, durante la conferenza stampa si è mostrato poco soddisfatto dal risultato delle elezioni, che hanno consacrato la vittoria di altre forze politiche a scapito del proprio partito, che ha perso un terzo dei propri seggi in Parlamento (da 33 a 21), e ha implicitamente attribuito la responsabilità della sconfitta del suo partito alla nuova legge elettorale: “Gli elettori non sono abituati alla nuova legge elettorale, basata sul sistema proporzionale, dopo decenni in cui hanno votato secondo il sistema maggioritario”.

Mentre il partito del Premier Saad Hariri ha perso numerosi seggi, perfino in distretti dove era precedentemente incontrastato, al pari del “Movimento Patriottico Libero” (FPM), guidato dal Presidente libanese cristiano-maronita Michel Aoun, le “Forze Libanesi” (LF), partito cristiano nato come milizia armata negli anni della guerra civile libanese, hanno quasi raddoppiato la propria presenza in Parlamento, passando da 8 seggi conquistati nelle elezioni del 2009 a ben 15 seggi. Questa vittoria elettorale consacra le Forze Libanesi a forza politica de facto, sotto la guida del loro leader, Samir Geagea, il quale è riuscito a trainare la ex milizia della resistenza cristiana libanese nell’arena politica lasciandosi alle spalle l’esperienza militare, al contrario del partito politico-militare “Hezbollah” (Partito di Dio), che rimane fortemente ancorato alla mobilitazione militare.

Il numero di seggi vinti dal partito militare sciita, classificato come gruppo terroristico da diversi Stati occidentali e da Israele, è invece rimasto pressoché invariato rispetto alle precedenti elezioni del 2009. Sebbene Hezbollah abbia conquistato solo 13 seggi, potrebbe entrare a far parte di un nuovo blocco maggioritario all’interno del Parlamento libanese, contando anche i seggi conquistati dai partiti alleati, tra cui il partito sciita Amal (16) e il cristiano FPM (17).

Il risultato elettorale pone Hezbollah di fronte a un bivio: partito o milizia

Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, in un discorso televisivo tramesso il 7 maggio, il giorno dopo le elezioni e prima dei risultati definitivi, si è affrettato a rivendicare “la grande vittoria politica e morale della Resistenza” – questo lo slogan di Hezbollah – “che protegge la sovranità del paese”, pur guardandosi bene dal menzionare il numero di seggi effettivamente conquistati dal partito-milizia sciita.

La stampa occidentale, compresa quella italiana, senza analizzare attentamente e in modo approfondito i numeri, ha fatto – consciamente o no – da eco alle parole di Nasrallah, sintetizzando superficialmente le elezioni libanesi come una vittoria di Hezbollah. Ciò deriva anche dall’ambiguità del nome di Hezbollah, che induce spesso anche gli analisti a commettere l’errore di considerare il movimento sciita soltanto un partito politico. “Hezbollah” in arabo significa “Partito di Dio”, ma il termine “partito” non ha la stessa accezione di quello che in Occidente consideriamo un partito politico. Questa espressione deriva in realtà da un versetto del Corano (Sura Al-Maida, n. 5, versetto 56), che recita: “In verità il partito di Dio sarà il vittorioso”. E’ da questo versetto che Hezbollah ha ripreso il suo nome e il suo slogan ufficiale, dove per “partito” si intende la comunità dei musulmani fedeli ad Allah, e non un partito nel senso occidentale del termine. Definire l’Hezbollah libanese un “partito” è riduttivo. Il movimento sciita è anche un partito politico. Ma è innanzitutto una milizia armata, ben organizzata ed equipaggiata, dotata di un proprio apparato d’intelligence, di un proprio sistema di welfare e di una struttura finanziaria che gli garantisce il sostegno del suo elettorato sciita in Libano.

Il discorso pronunciato dal leader sciita conferma come Hezbollah sia in grado di pilotare la propria massa di sostenitori, nonostante non abbia concretamente realizzato alcuna vittoria elettorale. A ciò si aggiungono diversi casi di brogli registrati e documentati in diverse aree a maggioranza sciita del Libano, in particolare nell’area di Baalbek-Hermel, storica roccaforte di Hezbollah.

Il 7 maggio, e nei giorni a seguire, i sostenitori di Hezbollah sono scesi in massa in strada su decine di scooter, entrando anche nelle zone cristiane e in quelle dove non hanno deputati, come forza di provocazione. Le strade della capitale libanese sono state teatro di scontri che hanno provocato diversi feriti e un morto. In diversi filmati amatoriali  si vedono scene di inseguimento tra sostenitori di Hezbollah e il Movimento Futuro e si sentono chiaramente rumori di spari. L’esercito libanese è stato immediatamente schierato nella capitale, tra i timori dello scoppio di una nuova guerra civile, come avvenuto nel maggio del 2008, quando i guerriglieri di Hezbollah attaccarono altre fazioni libanesi a Beirut.

Dieci anni prima, si erano viste scene simili a Beirut, quando i combattenti di Hezbollah misero a ferro e fuoco la città dopo la decisione del governo libanese di chiudere la rete di telecomunicazioni di Hezbollah e di rimuovere dall’aeroporto di Beirut il capo della sicurezza Wafīq Shuqeyr per presunti legami con Hezbollah. In quei giorni, i combattenti di Hezbollah presero il controllo di diversi quartieri di Beirut Ovest, scontrandosi con miliziani sunniti del Movimento Futuro fedeli al governo, in battaglie di strada che hanno lasciato 11 morti e 30 feriti. Le aree furono poi consegnate all’esercito libanese, e le decisioni del governo revocate. Fu una vittoria politica, e militare, del Partito di Dio.

Ma il 7 maggio del 2008 non è il 7 maggio del 2018. Oggi Hezbollah ha tentato, come fece 10 anni fa, di mostrare i suoi muscoli e ribadire la forza delle sue armi, ma il risultato elettorale lo pone inevitabilmente di fronte a un bivio: essere un partito politico o una milizia armata. Viste le tensioni nel Vicino Oriente, e il successo elettorale di un partito – le Forze Libanesi – che ha saputo trasformarsi da “resistenza armata” in partito politico, Hezbollah oggi non può più essere entrambi. La guerra che ha combattuto e sta combattendo in Siria a fianco del regime dittatoriale di Bashar al-Asad non legittima il suo braccio armato, in quanto non è una guerra che vede coinvolto il Libano, e se così fosse, sarebbe l’Esercito libanese ad essere chiamato in causa. Inoltre, la “resistenza” a cui Hezbollah si appella per legittimare le sue armi, non ha più motivo d’essere dopo il 2000, anno in cui le truppe israeliane si sono ritirate dal sud del Libano dopo anni di combattimenti con i miliziani di Hezbollah. Infine, non esistono attualmente sul territorio libanese minacce dirette a Hezbollah, tali da giustificare la permanenza del suo braccio armato, e qualora vi fossero, sarebbe di esclusiva competenza dell’Esercito libanese tutelare tutti i partiti e la società libanese da qualsiasi minaccia.

L’esperienza del partito “Forze Libanesi” e il suo ultimo successo elettorale, rappresentano una nuova pagina della storia moderna del Libano, e Hezbollah è costretto a confrontarsi con questa realtà. Quello delle “Forze Libanesi”, la prima resistenza libanese nata dopo il 1975, è un esempio di trasformazione da “resistenza armata” a partito politico con un progetto nazionale, di cui Hezbollah non può non tenere conto.

Le Forze Libanesi: da resistenza armata a partito politico 

Indubbiamente, la maggiore sorpresa delle ultime elezioni libanesi è rappresentata dall’ascesa politica delle “Forze Libanesi”. Le “Forze Libanesi” (LF) sono oggi un partito politico libanese, nato nel 1976 come coalizione politico-militare dotata di una milizia armata, che svolse un ruolo da protagonista nel corso della guerra civile libanese tra il 1975 e il 1990. Le “Forze Libanesi” furono la prima forma di resistenza in Libano contro le aggressioni dei miliziani palestinesi, che avevano iniziato ad utilizzare il Libano prima come piattaforma per lanciare gli attacchi contro Israele e poi ad attaccare la popolazione libanese che li aveva accolti in qualità di profughi. Durante la guerra civile, le LF continuarono a resistere contro i militari siriani, che nel frattempo avevano invaso il Libano.

Quando la guerra civile terminò, nel 1990, LF si trasformò in partito politico ad opera del suo attuale leader Samir Geagea, detto “Hakim”, prima di essere vietato nel 1994 e di vedere le attività dei suoi militanti severamente limitate dai governi filo-siriani fino alla cosiddetta Rivoluzione dei Cedri del 2005 che portò al ritiro delle truppe siriane, a seguito dell’assassinio del Primo Ministro sunnita Rafiq Hariri. Dunque, in meno di 25 anni, le Forze Libanesi si trasformano da resistenza armata a partito politico, passando dalla repressione ordinata dal regime di Damasco alla conquista di 15 seggi in Parlamento. Grazie al mantenimento dello spirito della resistenza cristiana, ai migliaia di martiri che sacrificarono la propria vita per difendere i propri villaggi e le proprie famiglie dalla aggressioni dei guerriglieri palestinesi prima e dei militari siriani poi, e grazie alla professionalità e preparazione della sua classe dirigente, il partito delle Forze Libanesi ha duplicato i suoi seggi negli ultimi 9 anni, dimostrando come una resistenza armata possa continua a lottare, in tempi di pace, per i suoi ideali tramite gli strumenti della politica e della democrazia e non con la forza delle armi. Si tratta di un chiaro esempio che Hezbollah, l’unico partito libanese ancora oggi dotato di un’ala militare, non può ignorare. La storia dimostra che il Partito di Dio non potrà mantenere e giustificare ancora a lungo le sue armi, e il risultato delle elezioni sembrano confermarlo chiaramente. Le provocazioni per le strade di Beirut messe in atto dai sostenitori di Hezbollah sono in realtà una dimostrazione di debolezza, più che di forza.

I disordini provocati dalla base popolare della milizia sciita non intaccano i risultati raggiunti dalla nuova legge elettorale, che ha permesso l’ingresso nel Parlamento libanese di nuove forze e personalità politiche indipendenti, evidente segnale della bocciatura, da parte degli elettori, delle realtà politiche che hanno guidato la scena libanese negli ultimi nove anni. A consacrare il successo democratico di queste elezioni è stata anche la grande partecipazione femminile: sei candidate su un totale di 86 sono state elette in Parlamento, tra cui la giornalista Paula Yacoubian, unica candidata all’interno di una lista indipendente ad aver vinto un seggio a Beirut, storicamente monopolizzata dai partiti tradizionali. Questo storico risultato evidenzia non solo l’ascesa del movimento della società civile nella vita politica libanese, ma soprattutto la rilevanza del ruolo della donna nella società libanese, un record assoluto nella regione del Vicino Oriente. Si tratta di ulteriori dati che sembrano far intravedere nuovi orizzonti – positivi o negativi, si vedrà – sullo scenario libanese.


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