Recep Tayyip Erdoğan ha mantenuto la minaccia contro il regime di Bashar al-Asad, che aveva diffidato dall’aiutare i curdi delle Unità di Protezione Popolare (YPG), contro cui combattono le forze turche nel nord della Siria, ad Afrin. Il 20 febbraio, il Presidente turco ha annunciato che Ankara è riuscita a fermare “l’eventuale dispiegamento delle forze regolari siriane nell’area di Afrin”. Diversi media turchi hanno inoltre riferito che le forze di Bashar al-Asad si sono ritirate prima di raggiungere la città curda sotto i colpi di un bombardamento turco.
Sebbene alcuni media siriani abbiano affermato che l’esercito regolare siriano aiuterà i curdi a respingere le operazioni militari turche ad Afrin, “non c’è stato alcun segnale concreto” di questa discesa in campo, così come lo YPG ha smentito l’esistenza di qualsiasi accordo con Damasco. Lo stesso 20 febbraio, il Presidente turco ha annunciato che le forze turche accerchieranno Afrin nei prossimi giorni.
Il 20 gennaio, le forze armate turche hanno cominciato ad attaccare le aree al confine con la Siria nell’ambito dell’operazione “Ramo d’ulivo”, nel tentativo di far uscire da Afrin le unità dello YPG, braccio militare del Partito dell’Unione Democratica (PYD), un partito politico curdo in Siria. Migliaia di persone sono fuggite da Afrin dall’inizio dell’attacco turco, mentre diversi media curdi hanno riferito il 19 febbraio che la Turchia ha intensificato i bombardamenti contro l’area, provocando l’uccisione di un bambino e il ferimento di altri otto civili in un villaggio nei pressi di Afrin, anche se la Turchia ha affermato che le sue forze prendono di mira solamente i combattenti.
Erdogan ha spiegato che lo scopo dell’operazione militare non è “dare alle fiamme Afrin”, bensì “creare un ambiente sicuro e vivibile” per i rifugiati siriani in Turchia che sono fuggiti attraverso i confini dallo scoppio del conflitto siriano nel 2011, il cui numero supera attualmente i tre milioni di rifugiati. Eppure, Human Rights Watch (HRW) ha denunciato che le guardie frontaliere turche stanno sparando in maniera indiscriminata sui richiedenti asilo siriani che cercano di attraversare il confine con la Turchia; inoltre, in alcuni casi, le guardie frontaliere turche hanno picchiato i richiedenti asilo siriani in loro custodia, rifiutando inoltre di fornire loro assistenza medica. Lama Fakih, vice direttrice per il Medio Oriente di HRW, ha dichiarato che “i siriani che cercano rifugio e asilo in Turchia vengono obbligati a tornare indietro a suon di proiettili e vessazioni”, prevedendo che con l’inasprirsi dei combattimenti ad Idlib e nel nuovo fronte di Afrin, “migliaia di altre persone fuggiranno da queste aree e il numero dei siriani intrappolati lungo i confini con la Turchia che metteranno a rischio le loro vite pur di entrare nel paese non può che aumentare”. A ciò si aggiungono le accuse lanciate da YPG e dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, smentite da Ankara, secondo cui le forze turche hanno utilizzato armi chimiche contro il villaggio di Shaykh Hadid, vicino ad Afrin. Il 17 febbraio, media siriani e curdi hanno affermato che sei civili hanno sofferto di difficoltà respiratorie dopo un attacco con gas velenosi sferrato dalla Turchia. La notizia è stata confermata da alcuni medici di Afrin.
Le unità dello YPG, considerato da Ankara “un gruppo terroristico”, sono però supportate e finanziate dagli USA come argine ai jihadisti del sedicente Stato Islamico, per cui l’operazione “Olive Branch”, il cui scopo sembrerebbe essere in realtà quello di spazzare via le vittorie militari e politiche ottenute dai curdi nel nord della Siria, rischia, oltre a scatenare un possibile confronto con tra il mondo arabo e quello ottomano, di porre fine alla poco stabile alleanza tra Turchia e Stati Uniti.